domenica 23 settembre 2012

I nove giorni di sciopero a Chicago

Nota quotidiana
Il primo sciopero in 25 anni indetto dal sindacato degli insegnanti di Chicago, nonostante gli attacchi frontali provenienti da Romney e l’evidente imbarazzo di Obama, ha goduto dell’ampio supporto di studenti e genitori, e, andando avanti per nove giorni consecutivi, ha strappato risultati importanti.

Cinzia Arruzza


A mezzogiorno del 10 settembre, 26.000 insegnanti di Chicago incrociano libri, penne, e registri, indossano le magliete rosse del sindacato, ed entrano in sciopero. Niente di eccezionale, verrà da pensare al lettore europeo: e invece si tratta del primo sciopero in 25 anni indetto dalla CTU di Chicago (il sindacato degli insegnanti). E di uno dei pochissimi scioperi in decenni che è riuscito non solo a strappare una vittoria significativa su diversi fronti, ma anche a creare una dinamica non corporativa e a produrre una mobilitazione generalizzata ad altri settori sociali.
L’ufficiale oggetto del contendere era il rinnovo del contratto, ormai giunto a scadenza. La posta in gioco, tuttavia, era molto più alta. Negli ultimi anni il sistema di istruzione pubblica americano è stato sottoposto a un continuo attacco, migliaia di scuole pubbliche sono state chiuse a causa di tagli al budget, le classi sono state accorpate sino a raggiungere addirittura cinquanta studenti per classe, migliaia di scuole sono state date in gestione a gruppi no-profit e cooperative, le cosiddette charter schools, dove gli insegnanti non sono sindacalizzati e dunque non godono di protezioni sociali. Le scuole chiuse e sottoposte ad accorpamento si concentrano per lo più nei quartieri più poveri, abitati da afroamericani e latinos, che sono anche, in proporzione, i maggiori fruitori dell’istruzione pubblica. I tagli al budget per l’istruzione pubblica sono stati accompagnati, come era prevedibile, da attacchi alle condizioni di lavoro degli insegnanti e da un processo di precarizzazione dei posti di lavoro. Tutto ciò con la cooperazione dell’American Federation of Teachers (AFT) e della National Education Association.
Lo sciopero di Chicago è stata la risposta compatta di 26mila insegnanti, sostenuti dai genitori e dagli studenti, e appoggiati da una larga parte della cittadinanza, al programma neoliberista del sindaco democratico di Chicago, Rahm Emanuel. Emanuel è tra i personaggi più in vista del partito democratico: è stato il quarto maggior esponente democratico alla camera dei deputati e stretto collaboratore di Obama. Tra le proposte di Emanuel, oltre agli attacchi ai benefit sociali garantiti dal contratto, comparivano anche l’abolizione degli scatti di automatici di carriera basati sull’età e sugli anni di insegnamento e il collegamento degli aumenti di stipendio ai risultati ottenuti dagli studenti nei test di valutazione. La questione degli scatti di carriera è cruciale non soltanto per ragioni salariali, ma anche dal punto di vista della tutela del posto di lavoro: soltanto gli insegnanti a cui viene riconosciuta un’anzianità di servizio, infatti, possono essere tutelati in caso di chiusura delle scuole, accorpamenti e soprannumeri. Come è facile immaginare, a essere penalizzati dal meccanismo proposto da Emanuel sarebbero stati esattamente gli insegnanti delle scuole dei quartieri più poveri, con più bassi livelli di alfabetizzazione, e minori possibilità per gli studenti di ottenere buoni risultati in test di valutazione standardizzati.
Il programma di Emanuel rispecchia perfettamente la politica portata avanti dal partito democratico sull’istruzione pubblica a livello nazionale: si basa, infatti, sul programma Renaissance 2010, centrato sulla chiusura delle scuole pubbliche, il loro affidamento in outsourcing a soggetti no-profit e l’imposizione di test di valutazione standardizzati agli studenti. Il programma Renaissance 2010 è stato elaborato da Arne Duncan, l’attuale segretario all’istruzione della presidenza Obama. Una delle conseguenze della strategia democratica sulla pubblica istruzione è stata in questi anni la chiusura di migliaia di scuole pubbliche e la loro trasformazione in charter schools. Solo nella città di Chicago oltre 100 scuole pubbliche sono state chiuse negli ultimi dieci anni.
La vecchia direzione della CTU avrebbe probabilmente avallato il piano di Emanuel. Sfortunatamente per lui, però, negli ultimi due anni qualcosa è cambiato all’interno del sindacato e nel clima politico cittadino. Nel 2010, infatti, la tendenza di sinistra interna al sindacato, il Caucus of Rank and File Educators (CORE), è riuscita a conquistare la leadership della CTU in Chicago. La vittoria di CORE ha letteralmente galvanizzato i membri del sindacato: la proposta politica di CORE, infatti, verte sulla centralità della democrazia interna, su una visione non corporativa del sindacato, sulla costruzione di legami e alleanze tra il sindacato e le organizzazioni sociali di base dei quartieri, e dunque tra insegnanti, organizzazioni di genitori e studenti, e su una piattaforma antiliberista. Inoltre, Chicago è stata una delle città di maggiore forza del movimento Occupy, che è riuscito a coordinare insieme giovani attivisti e mondo del lavoro su posizioni chiaramente antiliberiste e di autonomia dal partito democratico.
Per legge, la CTU non poteva organizzare uno sciopero politico: gli scioperi, infatti, sono autorizzati solo su questioni strettamente contrattuali. Questo, ad esempio, ha impedito alla CTU di inserire nella sua piattaforma di sciopero la questione delle dimensioni delle classi e altre questioni direttamente collegate alla qualità dell’offerta didattica. Tuttavia, sin dall’inizio è stato chiaro a tutti che, nonostante fosse stato convocato ufficialmente per respingere al mittente le proposte di Emanuel rispetto al nuovo contratto di lavoro, lo sciopero metteva in discussione più in generale le politiche neoliberiste sull’istruzione portate avanti dal sindaco. Per questo motivo, nonostante una martellante campagna di criminalizzazione degli insegnanti sui media, inclusa la Hollywood democratica, nonostante gli attacchi frontali provenienti da Romney, che ha accusato gli insegnanti di non curare gli interessi dei propri studenti e dei loro genitori, e nonostante l’evidente imbarazzo di Obama, lo sciopero ha goduto dell’ampio supporto degli studenti, dei genitori, e della popolazione di Chicago.
Durato per nove giorni consecutivi, lo sciopero ha visto picchetti a oltranza in circa 600 scuole e manifestazioni per le strade con 50.000 partecipanti. Gli abitanti dei quartieri hanno solidarizzato attivamente con gli insegnanti, prendendo parte ai picchetti, offrendo cibo e bevande, e suonando il clacson per salutare ogni insegnante con indosso la maglietta rossa del sindacato incontrato per strada. A conclusione della prima settimana di sciopero, il sindaco Emanuel è passato inutilmente alle vie legali per cercare di impedire il proseguimento dello sciopero, accusando la CTU di aver convocato uno sciopero politico, e perciò illegale. La direzione della CTU, infatti, aveva resistito alle pressioni del sindaco e aveva rifiutato di sospendere lo sciopero prima della consultazione democratica dei delegati sindacali sui contenuti dell’accordo strappato all’amministrazione cittadina. Lo sciopero è quindi proseguito sino a martedì per dare il tempo ai delegati sindacali di base di leggere il testo del contratto e di esprimere il proprio parere. Mercoledì 19 settembre gli insegnanti di Chicago hanno ripreso le attività di insegnamento, dopo che il martedì pomeriggio la grande maggioranza dei delegati aveva votato in favore dell’accordo.
Il contratto strappato all’amministrazione cittadina ha luci e ombre, ma rappresenta una prima vittoria ottenuta dalla CTU, e la base di partenza per una mobilitazione più ampia in difesa dell’istruzione pubblica. Così, senza finzioni, la stessa leadership della CTU ha presentato ai propri membri il nuovo contratto. Gli insegnanti sono riusciti a respingere al mittente il tentativo di erodere i benefit sociali garantiti dal contratto precedente. Contro la proposta di Emanuel di basare il 45% della valutazione sui risultati dei test degli studenti, sono riusciti ad abbassare la quota al 30% (il minimo previsto dalla legge dell’Illinois). Sono riusciti a mantenere gli scatti salariali legati all’anzianità di servizio e a ottenere il riconoscimento dell’anzianità di servizio a livello cittadino: prima veniva riconosciuta solo a livello di istituto scolastico. Hanno strappato l’assunzione di 600 nuovi insegnanti. Infine, hanno ottenuto per la prima volta i cosiddetti ‘recall rights’, che, in caso di nuove assunzioni, obbligano il distretto scolastico ad assumere gli insegnanti che hanno perso il posto di lavoro in seguito alla chiusura delle scuole. Sia i licenziamenti per soprannumero che le riassuzioni sono ora basati sull’anzianità di carriera.
Nonostante queste vittorie, le ombre rimangono. Innanzitutto lo sciopero non è riuscito ad abbattere del tutto il sistema di valutazione basato sui risultati dei test agli studenti. In secondo luogo, non ha potuto far nulla rispetto alla questione della dimensione delle classi. Gli insegnanti che perdono il posto di lavoro adesso riceveranno solo sei mesi di cassa integrazione, contro i dodici mesi precedenti. Infine, la CTU non è riuscita a strappare un impegno preciso rispetto alla questione dell’assunzione di nuovi operatori sociali, consulenti e infermieri.
La decisione di tornare al lavoro, a dispetto di questi limiti, è stata motivata da una valutazione della dinamica dello sciopero. In nove giorni di sciopero consecutivo il sindacato è riuscito a mantenere il sostegno dei genitori e della popolazione, malgrado i terribili disagi causati soprattutto alle famiglie più povere, che non avevano idea di dove mandare i figli durante il giorno. Per poter proseguire lo sciopero, continuando a mantenere questo supporto, sarebbe stata necessaria una mobilitazione più ampia, allargata ad altri settori di lavoratori. Le condizioni, tuttavia, non erano presenti. La valutazione fatta dalla direzione sindacale e dai delegati di base è stata dunque che era meglio tornare a casa con una vittoria parziale e con la nuova alleanza creata con le organizzazioni sociali di quartiere da cui ripartire per una campagna più ampia in difesa dell’educazione pubblica, piuttosto che rischiare di pedere il sostegno popolare e ritrovarsi con le spalle al muro.
Questa esperienza solleva quindi, ancora una volta, alcune questioni cruciali per una qualsiasi strategia di ripresa del movimento di classe americano. I limiti legali imposti dalle leggi sul lavoro pesano come un macigno su qualsiasi tentativo di ampliare, allargare e politicizzare gli scioperi. L’esperienza di Chicago, inoltre, è un’esperienza piuttosto isolata, dovuta alla vittoria della corrente di sinistra due anni fa e al lavoro certosino di preparazione della mobilitazione avvenuto nel corso di questi due anni. A livello nazionale, il trend generale è piuttosto quello della concertazione e dell’accettazione passiva delle politiche neoliberiste portate avanti da repubblicani e democratici. Questo, insieme alle restrizioni legali, rende estremamente difficile estendere la lotta a livello nazionale, un passaggio che sarebbe stato necessario per riuscire a ottenere di più. Infine, la questione razziale, per quanto agitata, non è stata al centro della mobilitazione. Si tratta, tuttavia, di una questione centrale, perché il numero di insegnanti afroamericani tende a scendere sempre di più, con il risultato che nei quartieri popolari un corpo docenti prevalentemente o esclusivamente bianco si prende cura di studenti prevalentemente o esclusivamente neri.
Lo sciopero di Chicago è stato un primo passo in direzione della messa in discussione delle restrizioni imposte sia dalle leggi sul lavoro che dalla connivenza delle direzioni sindacali con il partito democratico. Tuttavia, le questioni strategiche rimangono tutte aperte, e sarà necessario affrontarle se l’esperienza di Chicago vuole divenire il primo momento di una mobilitazione più ampia.
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