Felice Mometti
Nel libro sul movimento No Tav curato dal centro sociale Askatasuna, non ci si ferma al racconto ma si va in profondità per ricercarne identità e strategia. Serve però una riflessione più di fondo sulle forme e gli strumenti dell'autorganizzazione dell'odierna composizione di classe.
A sarà düra, Storie di vita e di militanza notav, a cura del Centro sociale Askatasuna (DeriveApprodi, 2013) è un libro utile e importante. Non è la semplice radiografia di un movimento desunta dalle interviste di rito ai protagonisti. E' la proposta di un metodo, di un punto di riferimento, di un immaginario per un nuovo agire sociale e politico. Non ci si ferma alla rappresentazione del movimento No Tav, si va in profondità a ricercare le ragioni ultime, irriducibili, che ne definiscono l'identità e la strategia. In cui si combinano scelte di vita, storie di militanza, rapporti di forza con l'avversario, costruzione di comunità, diffusione delle pratiche di lotta. Non si propongono certezze ma "solo prime ipotesi tutte da confrontare e ripensare".
Un approccio che permette al tempo stesso condivisione, dialogo e critica. Il testo è articolato grosso modo in tre parti: la metodologia, le interviste, la teoria. Non è il solito schema rigido che riproduce una supposta linearità tra teoria-prassi-teoria, spesso ridotto a costruire ( o immaginare ) una prassi orientata a giustificare una teoria. Nel caso in questione, invece, si assumono i rischi della verifica sul campo dei soggetti e dei processi. Nel libro c'è indubbiamente, e non poteva essere altrimenti, un retroterra teorico che ne costituisce la struttura e, se così si può dire, l'ambito da cui vengono generate le categorie interpretative messe all'opera. E' un sostrato teorico in cui si vuol far interagire l'elaborazione di Romano Alquati su conricerca e soggettività, la Teoria del partigiano di Carl Schmitt e l'analisi dei movimenti sociali proposta da Alain Touraine. Un'impresa non facile, non tanto per "l'eterogeneità" dei riferimenti, ma per la difficoltà nella traduzione odierna di campi di ricerca riferiti a una composizione di classe di movimenti sociali e operai che hanno esaurito la loro spinta politica e quindi non riproducibili.
Il movimento No Tav ha attraversato diverse stagioni politiche, ha rappresentato in certi periodi il punto di coagulo delle opposizioni sociali. Ha costituito il "modello implicito" di altre resistenze ed ha costretto gli apparati dello Stato - dalla magistratura, all'amministrazione, alla polizia - a riorganizzarsi e ridefinirsi per poter affrontare un'opposizione con un forte radicamento sociale e territoriale. Quindi più che una disamina del libro, misurando gli elementi condivisi e i punti di divergenza, è senz'altro più interessante vederne alcuni snodi problematici, alcune oscillazioni e ambivalenze.
Nell'introduzione metodologica si sottolinea la differenza tra inchiesta e conricerca nei metodi, negli scopi e nei linguaggi. La prima produce la conoscenza dei soggetti che sono parte del conflitto, la seconda forma soggettività e definisce la progettualità. Una differenza che, nell'articolazione del ragionamento, diventa distinzione ed a volte evoca una separazione. Se la soggettività, riprendendo la definizione di Alquati, è un " sistema caratterizzato da storicità e socialità e quindi che evolve processualmente", la distinzione in due momenti dell'inchiesta e della conricerca corre il rischio di non cogliere fino in fondo le caratteristiche del processo di soggettivazione. Un processo che nel libro, sia nella parte metodologica che analitica, viene descritto lungo una sequenza quasi lineare tra radicamento territoriale, produzione di comunità e conflittualità irriducibile del movimento No Tav. Dove il rapporto tra territorio e comunità viene individuato come asse centrale della radicalità e delle continuità del movimento. Ora, i due concetti di territorio e comunità diventano altamente problematici se non sono chiaramente connessi rispettivamente alle contraddizioni, e alla crisi, dell'attuale modello di accumulazione capitalistica e alla dinamica di uno specifico movimento di classe. L'analogia che viene proposta tra uno dei capisaldi della tradizione operaista, la relazione tra composizione tecnica e politica di classe, e le definizioni di Marx di classe in sè e classe per sè non risolve il problema. Si rimane a mezz'aria, oscillando tra una concezione determinista - l'accumulazione progressiva di forza sociale tende a tramutarsi in radicalità politica - e un'impostazione al limite del problem solving: gerarchizzare i fini da perseguire, le variabili che si presentano nell'azione di movimento e quindi anche i soggetti ?
La questione della collocazione e del ruolo dei militanti politici nel movimento è posta avendo ben presente tutti i guasti provocati dai ceti politici istituzionali, dai meccanismi della rappresentanza, dalla sottovalutazione della necessaria pluralità politica e sociale del movimento. Giustamente si criticano sia una concezione astratta delle cosiddette avanguardie che sono sempre già formate e pronte a dirigere il conflitto che una rappresentazione del movimento come una sommatoria di tanti antagonismi individuali o di piccolo gruppo. Si sceglie un posizionamento intermedio che permette di "salire" nei momenti di maggior conflitto e "scendere" nei momenti di stasi e di mediazione. Questo implica una maggior definizione del rapporto che oggi esiste tra spontaneità e organizzazione dove non è sufficiente presentare i due termini come complementari. Qui una riflessione non semplice sulle forme e gli strumenti dell'autorganizzazione dell'odierna composizione di classe riguarda tutti e le risposte non sono a portata di mano.
Combinare processi di soggettivazione e pratiche di democrazia diretta è il problema che ci sta davanti che non permette scorciatoie.
L'ultimo paragrafo di A sarà düra è intitolato Conflitti a venire. C'è la consapevolezza del rischio dell'isolamento, delle illusioni di coloro che vedono l'espansione del movimento No Tav mediante l'imitazione della Val Susa. Il libro interpella tutti i soggetti che si battono contro il domino capitalista e probabilmente per dare un contributo alla più che mai necessaria ricomposizione sociale delle resistenze bisogna tradurre e "tradire", con altre forme e altri percorsi, l'esperienza del movimento No Tav della Val Susa.
giovedì 14 febbraio 2013
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