lunedì 8 ottobre 2012

Ilva, il decreto per salvarla

I pm hanno dato 5 giorni per lo spegnimento che sicuramente non verranno rispettati. Venerdì scorso ancora una manifestazione di migliaia di persone (nella foto) per solidarietà ai giudici. L'azienda, con l'appoggio del governo, cerca una via d'uscita


di Salvatore Cannavò - dal Fatto quotidiano

Il provvedimento è entrato l’altro ieri in Consiglio dei ministri, ma è stato rinviato alla prossima seduta. La bozza però è già scritta e prevede un pacchetto di semplificazioni normative che fanno discutere gli ambientalisti. In particolare i due articoli dedicati alla bonifica ambientale, ribattezzati articoli “salva Ilva”. Alla lettura del testo, che Il Fatto ha potuto consultare e che non è ancora ufficiale, appare chiaro, in effetti, che l’impatto delle nuove norme, se approvate, sarebbe quello di garantire l’attività produttiva allo stabilimento di Taranto, nonostante quanto stabilito dal Gip e la sostenibilità economica degli interventi di bonifica. Gli articoli “incriminati” sono due, il 21 e il 22. Con l’articolo 21 si tratta la “Gestione delle acque sotterranee emunte” cioè la messa in sicurezza della falda acquifera.

A essere oggetto di “semplificazione” è il decreto legislativo 152 del 2006, il cosiddetto Codice dell’Ambiente, di cui verrebbe sostituito l’articolo 243. “Nei casi in cui – si legge – le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile (corsivo nostro, ndr) devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche”. L’intervento, insomma, è stabilito “ove possibile ed economicamente sostenibile” senza precisare nemmeno a chi spetti la valutazione circa la possibilità e l’economicità di tali misure. “Sarebbe una vergogna perché fa cadere il principio europeo secondo cui chi inquina paga” commenta al Fatto, il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli.

Va inoltre aggiunto che “gli interventi di conterminazione fisica o idraulica con emungimento e trattamento delle acque di falda contaminate” – cioè gli unici realmente efficaci, secondo gli ambientalisti – sono ammessi solo nei casi in cui non è altrimenti possibile eliminare, prevenire o ridurre a livelli accettabili il rischio sanitario associato alla circolazione e alla diffusione delle stesse". Una diminuzione dell’efficacia, quindi, sancita per legge. All’articolo 22, invece, si passa a una norma che sembra scritta apposta per risolvere il contenzioso che si è aperto a Taranto in questi mesi. Sotto il titolo di “procedura semplificata per le operazioni di bonifica o di messa in sicurezza”, si legge che “Nei siti contaminati, in attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione primaria e secondaria, nonché quelli richiesti dalla necessità di adeguamento a norme di sicurezza, e più in generale tutti gli altri interventi di gestione degli impianti e del sito funzionali e utili all’operatività degli impianti produttivi ed allo sviluppo della produzione”. Nessuno stop agli impianti, dunque, come l’Ilva chiede da mesi in relazione alle disposizione del Gip ma anche della Procura tarantina. “Si tratta di un gran favore economico fatto agli inquinatori d’Italia, non solo a Taranto” commenta ancora Bonellli. “Se non saranno economicamente sostenibili gli interventi non saranno fatti”.

Altre misure di alleggerimento vengono previste anche per quanto riguarda il permesso di costruire in caso di vincoli, per cui scatta il silenzio-assenso, ma anche per le norme che regolano la Valutazione di impatto ambientale (Via) per la quale scompare l’obbligo di pubblicazione del provvedimento in Gazzetta Ufficiale e nel Bur regionale. Basterà la pubblicazione sul sito web dell’Autorità competente.

Taranto, 10 mila in piazza a fianco dei giudici

Da L'Avanti online
C’è una Taranto che ha scelto da che parte stare. E come se la vicenda Ilva avesse segnato uno spartiacque ideale e antropologico nelle viscere più profonde di una città da sempre refrattaria alla lotta. La manifestazione di venerdi scorso, organizzata dalle associazioni ambientaliste a sostegno del giudice Patrizia Todisco, si pone in uno spazio altro rispetto a quello ascrivibile alla semplice rivendicazione di diritti negati o, peggio ancora, calpestati.

NEL NOME DI UN MAGISTRATO - Diecimila tarantini che sfilano per le vie del centro, diecimila voci che scandiscono entusiasti all’unisono il nome di un magistrato, in un’epoca contrassegnata da indifferenze collettive e passioni tristi, costituisce una notizia. Un grande movimento di opinione si è messo in cammino. Se si votasse domani, il giudice Todisco, forse, potrebbe diventare il sindaco di Taranto. Non ci sarebbe partito o esponente politico in grado di sbarrarle la strada. Non c’entra la chiusura o meno dell’Ilva in quello che sta accadendo in questo lembo di Puglia. Tentare di leggere il fenomeno in atto con queste chiavi interpretative è riduttivo e, al tempo stesso, semplicistico.

AMBIENTALISTI E INDUSTRIALI UNITI - Non c’entra lo scontro tra ambientalisti e industrialisti, sempre molto vivo da queste parti. La fiaccolata dell’altra sera ha visto sfilare, assieme, gli uni accanto agli altri: ecologisti ed operai Ilva. Non era mai accaduto prima. Il gip Todisco, ed è questa la novità rilevante, porta a sintesi gli opposti. Azzera l’imbarazzante dicotomia ambiente-lavoro. Conduce ad unità la voglia di normalizzazione di una città abituata a vivere di eccessi. Quello che avverrà nelle prossime settimane è difficile prevederlo. Un risultato, però, è già possibile consegnarlo alla storia: Taranto vuole costruirsi un futuro diverso.

L'Ilva con l'acqua alla gola dopo l'ultimatum dei pm
di Mimmo Mazza da La Gazzetta del Mezzogiorno

TARANTO - Sono passati 75 giorni dalla notifica del decreto di sequestro preventivo dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva e da allora, da quel 26 luglio, nessun impianto, nessuno di quelli che con le loro emissioni sarebbero causa di malattie e morte per gli operai e i cittadini di Taranto, è stato spento.

Chi vede nel provvedimento fatto notificare sabato mattina dalla Procura ai custodi giudiziari e all’Ilva stessa, una accelerazione verso lo spegnimento della fabbrica, chi addirittura sostiene che siano troppo pochi i 5 giorni dati al presidente-custode Ferrante per individuare il personale da adibire alle operazioni tecniche necessarie per far cessare le emissioni inquinanti, evidentemente continua a non voler affrontare la questione, né tantomeno a volerla risolvere. Impianti complessi come quelli dell’acciaieria più grande d’Europa non possono essere spenti con un clic, selezionando un tasto on/off che ovviamente non esiste. Occorrono procedure tecniche complesse finalizzate da un lato allo spegnimento degli impianti per far cessare i reati contestati con permanenza agli 8 indagati e dall’altro - ove possibile, come in più atti sottolineato dalla magistratura - per salvaguardare gli stessi impianti al fine di una ripresa della produzione, una volta ultimati gli interventi di bonifica e rifacimento.

Il termine di cinque giorni dato a Ferrante - termine passato il quale gli altri tre custodi-ingegneri potranno rivolgersi all’esterno, segnalando rifiuti, omissioni e abusi alla Procura per le possibili valutazioni penali - d’altronde rappresenta nient’altro che la conferma di quelli che sono i compiti quale custode giudiziario del presidente dell’Ilva, ovvero «responsabile di tutti gli aspetti amministrativi e contabili degli impianti sottoposti a sequestro» e anche «sotto il profilo dell'impegno finanziario occorrente per gli interventi da realizzarsi ai fini delle eliminazioni delle emissioni inquinanti e delle conseguenze dannose della pregressa attività, e sotto l'aspetto delle conseguenti scelte gestionali, riguardanti il personale addetto alle aree in sequestro». E di quanto gli ingegneri Barbara Valenzano, Claudio Lofrumento e Emanuela Laterza avevano chiesto per iscritto allo stesso Ferrante il 20 settembre scorso, sollecitandolo nuovamente a definire «un piano operativo di gestione del personale, prevedendo azioni mirate alla formazione e alla riconversione, in modo da consentire l’immediata attuazione delle attività di risanamento degli impianti di stabilimento e in funzione degli interventi di adeguamento previsti» e a provvedere alla «consegna dei lavori a ditte specializzate, già individuate». Secondo i custodi, e anche per la Procura, è d’altronde responsabilità dell’Ilva «mettere in atto tutte le operazioni, le programmazioni e gli adempimenti amministrativi». Dunque, se l’azienda prenderà altro tempo come ha fatto finora, presentando proposte tra il vago e il dilatorio, spetterà ai custodi procedere al suo posto.

I legali del gruppo Riva sono al lavoro per studiare le possibili contromosse all’offensiva della Procura. Tra domani e dopodomani sarà presentato il ricorso al tribunale dell’appello contro la decisione con la quale il gip Patrizia Todisco lo scorso 26 settembre ha respinto il piano di interventi proposto da Ferrante in cambio di un minimo produttivo.

I custodi dal 20 settembre chiedono all’azienda di avviare le operazioni di spegnimento dell’Altoforno 1 e delle batterie 9-10 e 5-6 delle cokerie, in attesa di metter mano a interventi assai più complessi e costosi. Ora quella richiesta - pur non avendone giuridicamente bisogno - ha ricevuto l’imprimatur della Procura e dunque non ci potranno essere ulteriori rinvii all’avvio dei «primi ed urgenti adempimenti idonei a far cessare ulteriori emissioni inquinanti da parte degli impianti - si legge nell’atto firmato dal procuratore capo Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile - dei reparti e delle aree sottoposte a sequestro».

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