martedì 3 agosto 2010

Il boicottaggio per la Palestina

Corrispondenze (da Il Megafono quotidiano)
La campagna per svuotare i supermercati degli articoli delle colonie di Cisgiordania costringe alcune fabbriche israeliane a ridurre la produzione e crea scompiglio. Il governo di Tel Aviv protesta ma l'Anp sostiene lo sforzo all'interno dei Territori occupati. Il ruolo internazionale

da The Guardian
Le fabbriche israeliane situate in Cisgiordania sono state costrette a ridurre la produzione giacché un crescente movimento di boicottaggio palestinese comincia a produrre i suoi effetti. Il boicottaggio, approvato dal Presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha ricevuto nuovo impulso questa settimana, quando a Ramallah è stata lanciata una campagna per vuotare le corsie dei supermercati dei prodotti provenienti dalle colonie.
“L’obiettivo è accertarsi che il mercato palestinese non abbia più prodotti delle colonie israeliane entro la fine dell’anno” ha detto il Primo Ministro palestinese Salam Fayyad al lancio della campagna “Da magazzino a magazzino” al supermercato Alameen. Un’equipe di volontari ispezionerà i 66.000 magazzini in Cisgiordania nelle prossime settimane, rilasciando certificati e adesivi per le vetrine a quelli che non hanno prodotti delle colonie. Dopo un periodo di tolleranza, i negozianti che possiedono ancora tali prodotti nei magazzini potrebbero essere passibili o di una multa di oltre £9,000 o di prigione fino a 5 anni, in virtù della legge che è già stata approvata, ma non ancora resa operativa, dal consiglio legislativo palestinese.
“Questa è l’espressione quotidiana del rifiuto dell’occupazione” ha detto Fayyad. “Ciò contribuirà ad assicurare che l’economia palestinese sia autosufficiente. Non ci sarà in Palestina un solo negozio che non potrà affiggere i nostri adesivi”. I sostenitori del boicottaggio sono attenti a distinguere tra i prodotti delle colonie in Cisgiordania, che sono illegali secondo il diritto internazionale, e i prodotti provenienti dall’interno di Israele. Questi ultimi continueranno ad essere venduti nei negozi palestinesi.
La campagna è stata attaccata dai politici, gli uomini d’affari e i commentatori israeliani. “I Palestinesi si oppongono alla pace economica e prendono provvedimenti che alla fine colpiranno loro stessi” ha detto il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il mese scorso. Il mercato della Cisgiordania vale circa 200 milioni di dollari all’anno per il commercio israeliano. Ma alcune fabbriche delle colonie vendono circa il 30% della loro produzione sul mercato palestinese, e il boicottaggio fa già sentire il suo impatto su di loro. 17 fabbriche a Mishor Adumim, un grande centro industriale tra Gerusalemme Est e Gerico, avrebbero già chiuso dall’inizio della campagna di boicottaggio. Alcune fabbriche delle colonie starebbero pensando di tornare in Israele. Altre, nella zona industriale di Barkan, vicino alla colonia di Ariel, hanno ridotto la loro produzione, secondo quanto afferma David Ha’ivri del consiglio regionale di Shomron, una organizzazione pro-coloni nel nord-est della Cisgiordania. “Molte fabbriche cercano mercati alternativi” ha detto. “Un’officina che produce telai per finestre in alluminio, che vendeva il 30% della sua produzione sul mercato palestinese, ha ridotto le ore di lavoro dei suoi operai per non licenziare”, ha detto. Più della metà dei 5-6000 lavoratori nella zona di Barkan sono Palestinesi, assunti sotto la legislazione del lavoro israeliana, che hanno diritto al salario minimo israeliano di circa 1.000 dollari al mese - considerevolmente più alto del salario medio nell’economia della Cisgiordania. “(Il boicottaggio) è un’azione poco intelligente dell’Autorità palestinese” ha detto Ha’ivri. “I danni procurati saranno risentiti da entrambe le parti. Stanno tagliando il ramo sul quale sono seduti”.
L’Autorità Palestinese ha creato un fondo di 50 milioni di dollari per fornire impiego alternativo e sussidi, nello sforzo da una parte di scoraggiare i Palestinesi ad andare a lavorare nelle colonie e dall’altra di alimentare l’economia palestinese. Secondo l’Associazione degli imprenditori di Israele, circa 22.000 Palestinesi sono impiegati dall’economia delle colonie - nell’edilizia, in agricoltura, nell’industria e nei servizi. Essa terrà un incontro straordinario questa settimana per verificare l’impatto del boicottaggio e riflettere sulle azioni da intraprendere. Dan Catarivas, dell’Associazione, ha detto che le ditte erano più preoccupate dal ritiro di Palestinesi dal lavoro che dal boicottaggio delle merci, benché l’impatto sia irregolarmente distribuito. “Queste ditte israeliane dovranno trovare nuovi lavoratori - o israeliani o stranieri. Ma alla fine le compagnie israeliane troveranno altre opzioni, e i lavoratori palestinesi si ritroveranno senza impiego”. Egli ha detto che il governo israeliano aveva offerto vantaggi alle ditte per impiantare fabbriche in Cisgiordania, ed era possibile che alcune di queste cercassero ora dei compensi per le loro perdite.
L’Autorità palestinese ha detto di essere soddisfatta del livello di sostegno al boicottaggio, che in un recente sondaggio si aggirerebbe attorno all’85%. Fayyad ha detto che esso “incoraggia il popolo” a resistere contro l’occupazione israeliana senza ricorrere alla violenza. “Le persone sentono una fierezza nazionale nel poter partecipare a questa campagna” ha detto un portavoce. Il boicottaggio fa parte di un tentativo più ampio di incoraggiare alla resistenza non-violenta contro l’occupazione israeliana, comprese le ampie manifestazioni pacifiche contro il muro di separazione.
Internazionalmente, il boicottaggio guadagna terreno. Le direttive dell’Unione Europea insistono perché i supermercati indichino chiaramente l’origine dei prodotti sulle etichette per permettere ai consumatori di distinguere tra i prodotti palestinesi, israeliani e quelli delle colonie. Il proprietario del supermercato Alameen, Erekat Ribhi Shukar, ha sottolineato che i prodotti palestinesi erano competitivi in qualità e prezzo con quelli delle colonie. “Dovremmo sostenere i produttori palestinesi per aiutare la nostra economia” ha detto sotto un manifesto che dichiarava: “La mia coscienza è chiara: niente prodotti delle colonie nel mio negozio”. Dietro il magazzino, due giovani acquirenti, guardando una vetrina frigo contenente prodotti caseari palestinesi ed israeliani, ma non delle colonie, hanno detto che loro sostenevano la campagna. “Vogliamo prodotti che favoriscono la nostra economia, e non quelli che la danneggiano” ha detto una di loro.

(Traduzione a cura di MariaChiara Tropea)
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