martedì 17 febbraio 2009

Ha vinto Chàvez: per i detrattori le elezioni sono buone se vince chi vogliono loro...

La vittoria di Chávez

Il 15 febbraio Chávez ha conseguito una nuova inequivocabile vittoria in elezioni regolarissime. Eppure la grande stampa lo dava per perdente anche per i riflessi della crisi economica mondiale sul welfare venezuelano: come si spiega questo nuovo successo?
Prima di tutto con l'inconsistenza politica e il carattere esaltato di un'opposizione guidata da mediocri e impopolari affaristi. Un'opposizione molto apprezzata invece negli USA e in Europa, dove trova appoggi anche nei governi e partiti di centrosinistra (i DS ad esempio avevano candidato al Parlamento Marisa Bafile, una imprenditrice italovenezuelana che aveva sostenuto attivamente il golpe contro Chávez del 2002).
Il "dittatore" Chávez finora ha vinto quattordici elezioni regolarissime e ne ha persa di stretta misura solo una, il referendum del 2 dicembre 2007. Uno strano "dittatore", che il giorno stesso di quel risultato negativo ha accettato senza fiatare il responso delle urne, e anzi ha commentato a caldo che era quasi contento di aver perso con lo scarto di pochi voti e non vinto con lo stesso scarto, consentendo speculazioni a non finire su presunti "brogli".
Quell'unica sconfitta era dovuta alla scelta tattica di presentare in una volta sola ben 69 emendamenti alla Costituzione proposta dallo stesso Chávez nel 1999, col risultato di non riuscire a spiegarne bene il senso, e di consentire all'opposizione di fare un'inverosimile agitazione sull'imminente introduzione di un regime socialista che avrebbe tolto la casa e i figli a tutti... Effettivamente una volta ripresentato da solo l'emendamento che stava più a cuore a Chávez, quello che gli consente di affrontare altre volte il giudizio delle urne, con un'aggiunta tatticamente importante (la rielezione è consentita più volte non solo al presidente, ma ai governatori, ai deputati, ai sindaci, ecc.), l'astensione si è ridotta e la modifica è stata approvata con il 54,4% dei voti.
Va detto che l'opposizione è stata danneggiata in primo luogo dalle proprie bugie: la costituzione che si voleva emendare era stata proposta dallo stesso Chávez nel 1999 e denunciata allora come liberticida. La cosa comica e penosa al tempo stesso è che, come l'opposizione di destra, tutta la grande stampa mondiale anche di centrosinistra continua a fingere che Chávez abbia chiesto e ottenuto di rimanere "presidente a vita", mentre ha solo chiesto di potersi ripresentare come candidato, ed essere rieletto nel caso non scontato di una maggioranza assoluta a suo favore.
Inoltre la grande stampa non dice che la costituzione venezuelana prevede che a metà del mandato presidenziale l'opposizione possa richiedere un referendum revocativo (lo ha già fatto una volta, perdendolo alla grande), e che questo vale per ogni carica elettiva. Questo criterio è stato riproposto anche da Evo Morales nella nuova costituzione boliviana e da Correa in Ecuador. Magari ce l'avessimo in Italia questa strana forma di "dittatura"!

Sono necessarie comunque alcune riflessioni su questo voto, che ha visto Chávez impegnato in prima persona ogni giorno in una campagna tesissima. È probabilmente questo che ha ridotto l'astensione. Era apparso chiaramente che in tutte le elezioni in cui era in gioco personalmente Chávez, il voto era massiccio, mentre non era così in quelle in cui si dovevano scegliere i membri del parlamento o i governatori. Tra il 2006, quando egli era stato rieletto trionfalmente presidente, e l'insuccesso nel referendum erano andati persi in un solo anno tre milioni di voti (per giunta ci furono ben due milioni di voti in meno del numero degli iscritti al PSUV, il nuovo partito unificato burocratizzato e i cui dirigenti erano stati calati dall'alto).
Campanelli d'allarme c'erano stati anche nelle elezioni di dicembre 2008, nelle quali erano stati sconfitti parecchi candidati a governatore e a sindaco nella zona più popolosa del paese, la capitale e i dintorni; in genere erano stati bocciati quelli catalogati popolarmente come appartenenti alla "boliborghesia". Questo recentissimo risultato preoccupante spiega l'insistenza di Chávez nel volersi ricandidare anche in futuro: in astratto sarebbe giusto prevedere un ricambio, ma che fare se i collaboratori non sono credibili?
È vero che in America Latina c'è un'ipersensibilità sul tema della rielezione, e in alcuni paesi come il Messico non è consentita neppure una volta, ma in vari casi ci sono state eccezioni, e anche negli Stati Uniti, la cui costituzione ha fortemente influenzato quelle di tutto il continente, Franklin Delano Roosevelt fu rieletto per una quarta volta nel 1944. Nessuno dovrebbe però sollevare scandalo soprattutto in Europa, dove ci sono ancora non pochi capi di Stato a vita, cioè re e regine! Per non parlare del Vaticano...
Rimane il problema, che d'altra parte non è solo venezuelano, della debolezza politica del gruppo dirigente allargato, che rende necessario se non indispensabile un presidente che assuma il ruolo di líder maximo... Anche in Bolivia e in Ecuador il presidente governa di fatto da solo, senza un partito degno di questo nome che lo sostenga e lo sospinga. Nello stesso Brasile, dove questo partito c'era ed era stato determinante per l'ascesa e la prima vittoria di Lula, il PT è stato messo in crisi da una politica di alleanze di vertice a dir poco disinvolta e dal conseguente mancato mantenimento di molte delle promesse fatte in periodo elettorale.
Lula personalmente continua ad essere popolarissimo tra gli strati più poveri della popolazione, che gli sono grati per le elargizioni del Plan familia e di altre forme di assistenzialismo ai "meno abbienti" (che ricordano un po' i famigerati 40 euro di Berlusconi ma che in Brasile assumono un'importanza ben maggiore), mentre prosegue l'allontanamento di molti dei quadri più politicizzati del partito e del Movimento dei Sem terra dal presidente e dal governo.
È un problema che andrà affrontato, tanto più che i segni delle ripercussioni della crisi economica mondiale sono già evidenti in diversi paesi, tra cui il Brasile, che pure continua a estendere i suoi investimenti in molti paesi (l'ultimo della Petrobras è stato denunciato recentemente in Perù). È soprattutto la politica internazionale di Chávez che può conoscere serie difficoltà, se la disponibilità di petrodollari si riduce per effetto del calo brusco del prezzo al barile. Non si tratta solo dei minori introiti, ma del fatto che questa flessione rende problematico lo sfruttamento dei giacimenti su cui si puntava per il futuro: le sabbie bituminose dell'Orinoco che, a parte la dannosità per l'ambiente, non conviene estrarre e trasformare se il petrolio sta sotto i 100 $... Anche in Canada, più che le lotte dure degli ambientalisti contro lo sfruttamento di queste sabbie, è stato il calo del prezzo al barile a risolvere la questione. Anche la produzione di biodiesel negli Stati Uniti ha cominciato a essere sospesa perché non più conveniente e la famosa intesa abbozzata tra Lula e Bush per incrementarla sembra essere finita nel nulla. Bene per l'ambiente, ma possono cominciare tempi duri, come ci furono in tutta l'America Latina nei primi anni Trenta per le ripercussioni della crisi di Wall Street...
Per questo ci vorrebbe una capacità di reggere al brusco peggioramento della situazione economica che non può essere affidata solo al prestigio di un capo, ma richiede una vasta e articolata mobilitazione popolare.
Naturalmente ci congratuliamo con Chávez e con la "rivoluzione bolivariana" per aver superato ancora una prova. Ma non possiamo limitarci a questo, dobbiamo denunciare la vergognosa: campagna che in Italia e in Europa ha presentato Chávez non solo come "dittatore" ma anche come antisemita.
Si è arrivati perfino a rilanciare la calunniosa accusa di aver denunciato gli ebrei come assassini di Cristo falsificando il suo discorso del Natale 2005 in cui parlava metaforicamente di crocefissione, ma di Simón Bolívar, non di Cristo, e il soggetto erano i ricchi, non gli ebrei. Quel discorso del presidente era stato trasmesso in diretta televisiva e quindi era possibile e facile una verifica. Ma è bastato far saltare il riferimento a Bolívar per stravolgere totalmente il significato di dichiarazioni che neanche lontanamente facevano riferimento alla comunità ebraica. Questo alla fine del 2005. Eppure ancora oggi c'è chi rilancia spudoratamente l'accusa (ad esempio Maurizio Molinari su "La Stampa") e quindi attribuisce, nel febbraio 2009, allo stesso Chávez le scritte antisemite su una sinagoga di Caracas. Silenzio sull'arresto immediato di un gruppetto definito dal governo "provocatore", che sarebbe autore anche di un analogo attacco al palazzo della Nunziatura Apostolica.
Chávez ha anche denunciato (e non è la prima volta) l'esagitata Lina Ron, dirigente di un gruppo estremista che si è distinto spesso per le sue dichiarazioni infuocate e controproducenti. Il presidente ha ottenuto subito un incontro chiarificatore con la comunità ebraica di Caracas. La sospensione delle relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele per protesta contro i massacri di Gaza è politicamente fondata, e riscatta l'onore di tanta sinistra opportunista, ma non ha nulla a che vedere con l'inaccettabile antisemitismo. Tuttavia il "corrispondente" della "Stampa" non lo dice: scrive dagli Stati Uniti, e forse ricava le notizie sul Venezuela dall'ufficio stampa dell'ambasciata israeliana...
E il "Corriere della sera" non è da meno: annuncia nel titolo a tutta pagina che è "in vista la presidenza a vita" di Chávez, collocato sopra a un articolo di Rocco Cotroneo che dice esattamente il contrario, e a fianco di un'intervista a Paco Ignacio Taibo II che afferma che il referendum "è stato uno schiaffo agli oligarchi". Stesso scarto tra titolo (Chávez potrà fare il presidente a vita) e contenuto del pur mediocre articolo di Omero Ciai su "Repubblica". Evidentemente non ha limiti l'odio e il disprezzo razzista del ceto politico nostrano verso un presidente meticcio, che per giunta - come l'indio Evo Morales - fa " scandalosamente" quel che dice.
Antonio Moscato
Lecce 17 febbraio
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