Cronache dalla crisi
Dopo l'emergenza "tunisina" i migranti della tendopoli di Manduria sono stati spostati a Bari senza alcuna risposta alla loro condizione. E così è cominciata la protesta
Una volta concessi i permessi di soggiorno temporanei, trovata la soluzione tampone da parte del Governo all’”emergenza tunisini”, nell’aprile scorso sulla tendopoli di Manduria si sono spenti i riflettori dei media. La vita di quei migranti, però, è continuata non solo verso la Francia, ma per molti anche in Italia alla ricerca di un lavoro per costruirsi una vita dignitosa. Nelle settimane successive nella tendopoli sono arrivati altri migranti africani, questa volta provenienti dalla Libia, dove o sono stati rinchiusi nei Lager degli accordi tra l’Italia e Gheddafi oppure hanno vissuto e lavorato lì per diversi anni, costretti ora a scappare dalla guerra e dall’assedio delle forze della Nato.
Le diverse pressioni dei comitati antirazzisti insieme alla gestione precaria della tendopoli hanno costretto le autorità governative a smistare i nuovi arrivi da Manduria verso il Cara di Bari (così come quello di Crotone e Foggia), dove appena dopo qualche settimana sui migranti si sono riversate decine di dinieghi della Commissione territoriale per il rilascio dell’asilo politico.
Le prime proteste al Cara di Bari sono iniziate il 13 maggio scorso quando in quasi duecento hanno occupato i binari delle Ferrovie dello stato e della Bari nord per più di quattro ore. Nell’arco di duecento metri dalla recinzione del Cara si concentrano le arterie principali di comunicazione e trasporto merci e passeggeri della città col nord Italia.
Di fronte alle ripetute promesse della Prefettura e del governo regionale nel garantire ai migranti di intervenire prontamente per trovare una soluzione ai dinieghi, dopo quasi tre mesi di estenuanti attese, intervallate da ulteriori occupazioni e proteste i migranti hanno dato vita a ciò che avevano con un largo preavviso annunciato già tre settimane prima; quando i primi di luglio sono scesi nelle vie del centro di Bari per rivendicare i cosiddetti “papiers” per poter viaggiare e lavorare liberamente in Italia ed Europa.
Lunedì 1 agosto attraverso quell’arco di qualche centinaio di metri che collega il Cara ai binari e alla statale, passando per i stretti vicoli di campagna alla periferia nord di Bari, hanno bloccato non solo una città, bensì il trasporto merci e passeggeri di una regione intera che si collega al resto dell’Italia, all’Europa. Per quasi otto ore hanno impedito la circolazione di treni, auto e tir, ciò che a loro è precluso da mesi.
Nel frattempo, nelle stesse ore in cui montava la rivolta dei migranti del Cara, a poco meno di duecento km di distanza, ancora più a sud, lavoratori migranti stagionali a nero, seppur senza contratto, hanno deciso di scioperare, di interrompere uno stato di sfruttamento gestito dal caporalato nelle campagne dei pomodori e delle angurie di Nardò, in Salento.
Un equilibrio di sfruttamento di forza-lavoro “usa e getta” è andato in tilt. Quest’anno la crisi economica, da un lato ha ridotto fortemente la domanda dei prodotti agricoli riducendo notevolmente i prezzi; dall’altro nelle campagne si sono riversati altri migranti: i tunisini provenienti dalla tendopoli di Manduria, i migranti licenziati dalla fabbriche in crisi del nord, ma anche delle aziende del sud. Infatti ci sono anche i lavoratori della Tecnova: azienda multinazionale del fotovoltaico che qualche mese fa nel brindisino, dopo aver sfruttato e non pagato per mesi diverse centinaia di lavoratori migranti, ha chiuso trasferendosi altrove.
I migranti della tendopoli di Manduria, quelli del Cara di Bari e delle campagne del Salento non solo sono accomunati da politiche istituzionali sull’immigrazione che assumono forme di razzismo “più o meno democratico” improntato sul controllo, la disciplina e la repressione dei diritti e delle libertà di movimento; ma soprattutto ciò che gli accomuna in queste settimane è la pratica di lotte autorganizzate, che fanno di loro avanguardie e casi esemplari di rivendicazione di diritti e sperimentazione di nuove e più efficaci forme sindacali, delle quali i sindacati confederali non riescono assolutamente a farsene carico. Non è un caso che le rivolte alla tendopoli di Manduria e al Cara di Bari, gli scioperi di questi giorni siano il frutto di assemblee autoconvocate; gestite dagli stessi migranti all’interno dei prefabbricati del Cara, delle masserie e/o tende sparse nelle campagne: luoghi dove si discutono forme, strumenti e rivendicazioni alle quali segue una pratica concreta di conflitto sociale e politico, che ci parla di una lotta di classe ascritta all’emigrazione. Una lotta intenta a inceppare in qualche modo il capitale, (insieme alle istituzioni che lo proteggono e sorreggono) e i suoi meccanismi di produzione ed accumulazione di ricchezza basati sullo sfruttamento del lavoro vivo, migrante e non.
venerdì 5 agosto 2011
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